25 ottobre 2008

Nasce avances, il supplemento di “segnalazioni” dedicato ai contributi originali. L’articolo di esordio, a firma di Livia Profeti, esplora i rapporti tra la moderna teologia cristiana e la filosofia di Martin Heidegger, anche in relazione al dibattito in corso nel XII Sinodo dei vescovi che si chiuderà domani.

25 ottobre 2008
L’ombra di Heidegger sul Sinodo

di Livia Profeti

A partire dallo scorso giugno il Vaticano ha indetto uno speciale anno giubilare per il bimillenario della nascita di Paolo di Tarso, avvenuta secondo gli storici tra il 7 e il 10 dopo Cristo. Nell’ambito delle pubblicazioni per la sua celebrazione figura anche un volume dedicato alle lezioni che il filosofo Martin Heidegger tenne sulle Lettere paoline nel 1920-21, Heidegger e San Paolo (Urbaniana University Press), curato dal professore emerito di Metafisica alla Pontificia Università Lateranense Aniceto Molinaro.

Il sodalizio tra la teologia cristiana e la filosofia di Heidegger, sebbene noto per lo più agli specialisti, è di lunga data. Molti tra i più importanti teologi del secolo scorso erano heideggeriani, come il protestante Rudolf Bultmann, che con la sua esegesi ha aperto la strada alla Teologia della Liberazione, e il gesuita Karl Rahner, uno dei protagonisti del Concilio Vaticano II, che negli anni ’60 scrisse anche alcuni saggi a quattro mani con l’attuale Papa Benedetto XVI. Joseph Ratzinger, nato in Baviera nel 1927, ha sviluppato il suo pensiero attraverso il confronto con la riflessione filosofica in sintonia con la moderna teologia tedesca, ed Heidegger è uno degli autori «maggiormente valorizzati» nella sua riflessione, come afferma in Fede cristiana come “Stare e comprendere” Andrea Bellandi, attuale Preside della Facoltà Teologica dell’Italia Centrale. Del persistente rapporto tra il pensiero del filosofo e la teologia cristiana è testimone anche il recente lavoro di Duilio Albarello La libertà e l’evento. Percorsi di teologia filosofica dopo Heidegger (Ed. Glossa), che si propone di perseguire l’impresa di Benedetto XVI di «allargare gli spazi della razionalità» attraverso il confronto con alcuni esponenti della Scuola heideggeriana cattolica (J.B. Lotzs, M. Müller e B. Welte).

In questo contesto, il volume Heidegger e San Paolo si compone di alcuni interventi dello stesso curatore e di altri esperti heideggeriani, tra i quali Bernhard Casper dell’Università teologica di Friburgo. Per Casper, le lezioni intorno alle Lettere testimoniano che la ricerca del giovane Heidegger sull’«esserci» umano è strettamente connessa con «l’interrogazione intorno a un essere cristiano originario»; a suo parere, con le lezioni e con i Contributi alla filosofia del 1936 è divenuto più chiaro il modo in cui il suo pensiero è legato alla ricerca di una nuova comprensione della fede cristiana. Molinaro aggiunge che nelle lezioni su Paolo di Tarso c’è il germe dei temi che Heidegger svolgerà in seguito, tra i quali quelli della storicità e del destino. Anche Monsignor Gianfranco Ravasi ha indugiato sugli stessi aspetti, mettendo in connessione i termini heideggeriani di «compimento o destinalità» con l’intreccio tra storicità ed escatologia contenuto nella Lettera ai Tessalonicesi. Nella recensione al volume pubblicata sul Sole 24ore del 21 settembre scorso, il Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura nota che sebbene Heidegger per un periodo si staccò dal cattolicesimo, «il legame con le radici cristiane riaffiorò ben presto e queste lezioni ne sono un’attestazione», come pure esse costituiscono «la culla della sua futura ramificata architettura ideale che avrà una prima grandiosa componente nell’Essere e tempo del 1927».

Heidegger ha descritto il suo enigmatico concetto di storia nei termini di un «destino dell’Essere», che gli uomini devono cogliere come in una sorta di rivelazione, assecondando il suo «svelarsi» nell’«evento». Una concezione espressa con linguaggio oracolare nei Contributi, che essendo successivi alla fase del rettorato di Friburgo non smentiscono la sua partecipazione attiva al regime nazista, bensì confermano a posteriori che egli vi aderì basandosi sulla propria teoria, ritenendolo una tappa di tale presunto “svelamento”. Nel suo La mia vita in Germania Karl Löwith ha infatti reso noto che Heidegger, sempre nel ’36, gli rafforzò la convinzione che «la sua presa di posizione a favore del nazionalsocialismo fosse insita nella essenza della sua filosofia», precisando che al fondamento del suo impegno politico c’era proprio il suo concetto di “storicità”.

In questi giorni si sta svolgendo il XII Sinodo dei vescovi, che proprio sul metodo storico-scientifico con il quale interpretare le Scritture, vede svolgersi un acceso dibattito nel quale si contrappongono i sostenitori dell’esegesi storico-critica e coloro che invece rivendicano la superiorità dell’impostazione «spirituale». Colpisce che nell’ambito culturale ad esso collegato continui ad aleggiare il nome di un pensatore che, sulla base della propria filosofia, ha potuto apprezzare il regime di Hitler come un «evento» storico del «destino dell’Essere».